Nell’estrema periferia di Corato, il paese in cui vivo, c’era una villa abbandonata. La chiamavano Villa Capano, dal nome della famiglia nobiliare a cui era appartenuta, e si trovava all’interno di fitta boscaglia misteriosamente sopravvissuta, almeno fino alla metà degli anni Novanta, alla cementificazione della zona. Alberi secolari svettavano imponenti verso l’alto come pilastri volti a sostenere la pineta che adombrava l’intera area, mentre ai piedi degli stessi si allargavano cespugli alti fino a due metri fitti di erbacce, piante singolari e, nei periodi di primavera, di fiori colorati. Per arrivare alla villa c’erano tre accessi. Il primo era costituito da due colonne ottocentesche in pietra le quali sancivano l’inizio di un viale che tagliava proprio per l’interno della boscaglia. Bastava passarci davanti per avere già un colpo d’occhio su un mondo totalmente diverso rispetto alle palazzine squadrate che si erigevano a qualche decina di metri da lì. Infatti le colon...
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