Paolo, mastro di volti nascosti


Data di approdo: 5 agosto 2011
La torre federiciana svetta per oltre trenta metri dominando tutto quel reticolo geometrico di viuzze che è il centro storico. Osserviamo il maestoso orologio e le lancette scorrere inutilmente. Si, perché ormai ci troviamo nei paraggi di un luogo dove, secondo il National Galattic, il tempo si ferma e cavalieri di luce splendono come stelle. Così vien detto.
Usciamo dalla piazza, attraversiamo una strada che da Ruvo spunta come una linguaccia tra gli antichi palazzi di Terlizzi e ci inoltriamo in una stradina. Un murale, celato dietro i rami di un alberello, ci dice che siamo arrivati.
Benvenuti nella misteriosa bottega di Paolo.

Giochi di luce.
L’ingresso è un breve passaggio che scorre tra cianfrusaglie ammucchiate a destra e a manca. Di fronte il buio cade perentorio. Sul lato sinistro, dopo una bella bici da passeggio, si apre una porticina oltre la quale dei gradini si arrampicano verso il piano superiore. Sembra l’unica via di proseguimento ma il nostro amico illumina l’ingresso squarciando il buio e rivelando una porticina proprio di fronte a noi. E’ quasi una sorpresa e Paolo lo sa perché ci sorride come uno che la sa lunga. Insomma, come uno che con la luce ci gioca.
Ogni artista ha una parola magica e per Paolo è Luce. Ma Paolo non pronuncerà mai la parola Luce, ma una sua forma traslata: Ra. Ra come il Dio del sole dell’antico Egitto. Paolo è devoto a questo dio e come ogni buon credente gioca con questa divinità. Forse potrà sembrare sacrilego, o poco filologico agli occhi dei classicisti, ma d’altro canto si sa, il gioco è la forma più alta di celebrazione del proprio dio. Qui Ra sembra un pezzo di Lego che insieme ad altre unità crea forme bellissime. La stessa parola diventa un gioco combinatorio.
RAggianti.
RAdiosi.
ErRAnti

Educazione visiva.
Proseguiamo per questo sentiero che scorre stretto tra cumuli di materiali. Imbocchiamo la porticina, attraversiamo una striscia di festanti mattonelle colorate sul pavimento e come d’incanto ci troviamo in una bottega in cui attrezzi da lavoro, manufatti e materiali raccattati qua e là si fondono in un’epifania di forme e colori. Viene da guardarsi intorno sfidando il senso di vertigine. Una carrozzella in attesa di essere animata, cartoni delle poste italiane, lastre di legno, aste, rotoli di ferro filato, attrezzi di falegnameria tirati fuori da chissà quale epoca. E’ un tal bombardamento d’immagini che è difficile soffermarsi su qualcosa. Ma Paolo ci viene subito incontro additando due pennellate di bianco impressi sotto una Combinata Quaranta. Si trovano in una superficie circolare insieme ad una linguetta rivolta verso il basso e ad un’apertura semicircolare con una levetta al suo interno. Sembra un volto sorridente con un dente che fuoriesce a lato. O meglio, lo è.
Il volto sulla Combinata Quaranta c’era già da molto tempo prima che Paolo se ne accorgesse. Era già tutto lì: il naso, la bocca e gli occhi. Si, persino gli occhi! Non erano certo percettibili ad uno sguardo distratto ma c’era in quanto presupposizione del naso e della bocca. Insomma, occorreva l’ispirazione giusta per vederli e questa ispirazione venne quando Paolo rubò da qualche giornale la pubblicità di una radio. Era raffigurata la parte posteriore di una sveglia i cui tratti definivano un volto gioioso. E’ una pubblicità che Paolo conserva ancora nel suo laboratorio, incollata alla parete sinistra appena dopo l’entrata. Fu dopo aver visto quella pubblicità che Paolo si accorse che nel suo studio c’era un volto in attesa di essere rivelato. E lo rivelò con due semplici pennellate di bianco. Con le stesse pennellate con cui un archeologo libera dalla polvere un reperto.
Ogni oggetto, persino più banale, conserva un volto. Paolo ci mostra un recipiente di detersivo da un lato. Il manico è il naso, il vuoto appena dietro sono gli occhi. E ancora, tira fuori la foto di una finestra murata che per una strana casualità rivela due occhi e una bocca così geometrici da far pensare quasi ad un robot.
E’ una questione di educazione visiva, ci dice. Ma forse azzardiamo nel dire che è una questione più legata ad una specie di sesto senso che ogni umano ha sin dalla nascita ma che col tempo, scioccamente, tende a perdere.
Ad ogni modo è proprio da questa “educazione visiva” che parte il mondo di Paolo. In particolare, da quelle due pennellate di bianco sulla Combinata Quaranta. Di fatti rappresentano l’illuminazione che ha dato vita ai cavalieri Raggianti.
Si, perché, se non ve ne siete accorti, siamo capitati in una terra di cavalieri.

Cavalieri RAggianti.
In un tempo a noi lontano, ma in un posto non molto distante da Terlizzi, viveva il conte Tramontano, signore di Matera. Non era ben accetto e proprio per ingraziarsi la cittadinanza promise tutto il necessario per lo svolgimento della festa in onore della Santa patrona. Persino un carro nuovo ogni anno. I materani, per mettere alla prova il tiranno, sin dalla prima edizione assaltarono e distrussero il carro trionfale costringendo così il Conte a mantenere la promessa fatta. Questa storia, insieme a tante altre che si narrano, si è trasformata col tempo in un rito. Ogni anno, il 2 luglio, Matera festeggia la sua Santa patrona facendo scorrere per le sue vie un maestoso carro fino al termine del percorso quando viene assaltato e distrutto dagli stessi cittadini. Insieme al carro sfilano i cavalieri della Bruna, eco di quei saraceni a cavallo che un tempo lo scortavano.
Torniamo a nostri giorni. Quando si trovò ad assistere alla festa di Matera Paolo, come toccato dal dio del sole Ra, aveva già scoperto il volto sulla Combinata Quaranta. E fu proprio in quel periodo che il nostro amico iniziò a giocare con la luce arrivando subito a forgiare En-nur, cavaliere della luce, Sunnah cavaliere della tradizione, Er-ruh cavaliere dello spirito, Fatwa cavaliere del giudizio. Tutti ispirati, come per l’ennesimo scherzo di luce, dai cavalieri della Bruna. E forse è proprio a quel periodo che risalgono gli schizzi che abbiamo intravisto all’ingresso, attaccato alla parete, e che ora come per magia ci tornano in mente. Si tratta di due disegnini fatti con la penna blu: l’uno indica un faccia cilindrica con un naso conico, l’altro una faccia cilindrica tempestata di spilli.

La poetica di Paolo, come il calderone di uno stregone medievale, è fatta di tanti ingredienti ricercati. Gli stessi cavalieri raggianti, i migliori depositari della sua poetica, sono forgiati dai raggi accecanti del dio Ra, dalle magie di una Combinata Quaranta, da una specie di sesto senso visivo e da un altro elemento. Qual è questo elemento? Vi starete chiedendo.
Facciamo un passo indietro fino al momento in cui varchiamo la soglia della sua bottega. Il nostro amico ad un tratto ci dice – Quella è una bilancia.
Ci guardiamo attorno ma non scorgiamo nulla che assomigli ad una bilancia. Del resto non è facile individuare alcunché in questo marasma di materiali e manufatti - Quale?
Quella! – Dice lui additando un’asta alta il doppio di noi.
La guardiamo bene e scopriamo che quell’affare lungo e stretto ha alle sue estremità delle lame. E’ una lancia. Una doppia lancia. Una bi-lancia!
Ancora.
Divertito come un bambino ci mostra un'altra sua prodezza. Si tratta di un libro di legno con delle scritte intagliate sui due lati. Su uno di questi scorgiamo la parola “mente-chiara”. Cerchiamo di agguantarlo per studiarcelo meglio, ma prima di consegnarlo Paolo ci tiene a raccontare un piccolo aneddoto. Tempo fa conobbe una critica d’arte, una certa Chiara, che ben presto si rivelò ben più accorta di quello che dava a vedere. Questo libro di legno è dedicato a lei: se da una parte la scritta recita mente chiara, quasi come a offrire un messaggio di sensibilizzazione culturale, dall’altra la scritta cambia e diventa “chiara-mente”.
Dunque, il quarto elemento è l’ironia.
Il mondo di Paolo è forte di una blasfemia lessicale che come un’ironia ingenua e ricercata plasma ogni cosa. Il nostro sguardo ritorna alla parete dell’ingresso adibita a bacheca e proprio qui rintracciamo una scritta calcata con la penna che recita “rapace capace”. Sembra un gesto di sfida all’ultima parola lanciata da qualche spiritello dispettoso, una sfida che Paolo raccoglie ogni giorno. I cavalieri Raggianti risentono fortemente di questa sua onda ironica sin dal nome che definisce ognuno di essi.
Baccobaldo, Ele-fanteblu, Marino Spirito ArDente, Alda Trensione, Watt Erloo, CD-Rhuom, Baldovino e via dicendo. L’ironia però è un elemento che non si ferma al nome ma diventa perfettamente rintracciabile anche nelle fattezze dei cavalieri. Marino Spirito ArDente, per esempio, è simpatico per gli occhiali da pilota aereo e per i fili di rosmarino che si alzano scapigliati. Ma il nostro sguardo s’impatta contro il suo sorriso, un sorriso che esibisce due file di denti, puliti e ben sistemati, pronti a mordere. Ad osservarlo lo sentiamo arrotare le erre. Sovente è rovente. Se poi sorridente … un morso è imminente in presa stringente! Recita la didascalia sul catalogo. E che dire di Watt Erloo, dei suoi fili di rame che gli spuntano dal capo come un’antenna e della lampada ben visibile appena sotto come un cervello scoperto. Mi accendo e ti spengo! Mi spengo e t’accendo. Poi salgo e già scendo … Ti esalto e m’abbatti!
Ognuno di loro è immagine di una visione, abitante di un mondo, metafora di una poesia. Potremmo chiamarli comunemente lumi, ma in realtà i cavalieri RAggianti sono eroi forti di luce e ironia, si erigono come statue dell’isola di Pasqua in miniatura e i loro faccioni ovali raccontano di un medioevo dissacrato. Sono come bambini: stravolgono ogni concezione riuscendo sempre brillanti.

Tempio dell’alchimia.
Il laboratorio di Paolo, come tutti i posti magici, sorge su una cripta, ovvero un vecchio laboratorio d’intarsio al tempo molto rinomato nella zona. Ne è rimasta una scala che si perde nel buio, una stanza sotterranea, un vecchio tavolo da lavoro e un pezzo d’intarsio: un vista sulla città di Matera. Si, proprio la città dei Cavalieri della Bruna. Questo spiega in parte le abilità del nostro amico nella lavorazione del legno.
Nel posto in cui ci troviamo però vi è come una seconda cripta, più ideale e meno materiale rispetto alla prima, che nonostante gli anni continua ad emettere magia. Questa cripta ideale è rintracciabile lungo le pareti esterne del laboratorio dove corrono dei vecchi mobili in legno bianco. Sono alti, imponenti, e le vetrate guarnite all’interno delle ante offrono una visuale sul contenuto: decine e decine di barattoli d’orzo, con tanto di bambino sorridente sull’etichetta, riadattati a contenitori di soluzioni e miscele. Si tratta di mobili dall’aria austera appartenuti ad una rinomata farmacia di Terlizzi. Una farmacia di qualche tempo fa dove coloro che ci lavoravano preparavano i farmaci miscelando i vari ingredienti con un fare quasi da alchimista – ci spiega Paolo.
Insomma, sono mobili che provengono da un posto e da un’epoca in cui i farmacisti erano un po’ alchimisti. E proprio dove un tempo poggiavano contenitori su cui avremmo potuto leggere atropina, aconitina, ricinina, convallatossina, sparteina e altre parole terminanti in ina, ora troviamo file e file di barattoli che, avvolti da sorrisi congelati ed etichettati, custodiscono polveri e soluzioni per la pittura.  
L’arte è pura alchimia e Paolo ce lo dimostra a pieno fondendo vari elementi. I raggi accecanti del dio Ra, le magie di una Combinata Quaranta, il sesto senso visivo e l’ironia, pur essendo elementi ontologicamente lontani l’uno dall’altro, si fondano l’uno nell’altro in un’armonia leggendaria. E d’altro canto cos’è l’alchimia se non l’arte di creare la bellezza attraverso l’uso sapiente di elementi tra loro proibiti.

Salutiamo il nostro amico. Diamo un ultimo sguardo all’ingresso del laboratorio e ai due muri frontali adibiti quasi a bacheche. Gli schizzi dei cavalieri, il lato posteriore della sveglia, la scritta Rapace Capace, alcuni attrezzi da lavoro. Se questo posto fosse un libro, l’entrata sarebbe sicuramente l’indice.
Usciamo a malincuore dalla bottega e siamo di nuovo in strada. Prima di tornare alla nostra astronave e di riprendere il viaggio verso nuovi mondi, facciamo un ultimo salto avanti alla torre dell’orologio. Sto in piedi come una botte, per brillare di notte. Scocco le ore e dall’alto guardo come un leone. Si, sarà per l’allucinato mondo che ci siamo appena lasciati alle spalle, ma ci viene da pensare che anche lei, con le finestre a farle da occhi, con l’edicola campanaria a farle da elmo, con la porticina a pian terreno a farle da bocca e con l’imponente orologio a farle da stemma, sembra proprio un immenso cavaliere RAggiante.

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