Vi presento Fiat l’americana (italiana se serve)


Qualche tempo fa un tizio diceva che se la Fiat facesse auto dello stesso livello delle sue pubblicità, sarebbe un’azienda fantastica. Certo, nella sua lunga storia ha prodotto veicoli di varia qualità. Da quelle riuscite come la Uno e la Punto, a quelle così poco riuscite, come la Fiat Palio, da determinare una crisi da cui l’azienda è emersa solo grazie al fortunoso accordo con la General Motors.

Al di là della sua effettiva qualità la Fiat deve una parte dei suoi introiti alla commistione che essa ha con l’Italia e col relativo sentimento nazionale. In tanti anni ha goduto del marchio di azienda nazionale per assicurarsi sia una bella fetta di mercato, sia dosi consistenti di sovvenzioni statali. Ma non solo. Anche quando l’azienda si è espansa all’estero si è portata dietro, inevitabilmente, quel retrogusto di italianità che nel mercato internazionale molto spesso rappresenta una marcia in più.

Nonostante questo debito però, naturale e fisiologico, negli ultimi anni abbiamo assistito ad una serie di affermazioni, prese di posizioni e scelte aziendali che di fatto hanno remato contro l’Italia e gli italiani. E’ il caso della politica del tanto decantato amministratore delegato Marchionne.
Pensiamo alla chiusura di stabilimenti (Melfi e Pomigliano d’Arco) per spostare la produzione in quei Paesi dove il costo della manodopera è inferiore, pensiamo all’irrigidimento delle condizioni lavorative degli operai, pensiamo allo scorporo degli uffici in vista del loro trasferimento negli Usa. E pensiamo ad un’affermazione che Marchionne fece quando fu ospite da Fabio Fazio: senza l’Italia la Fiat ci guadagnerebbe. Può darsi, ma prima deve restituire tutto il denaro pubblico ricevuto.

Precisiamo.
Ogni azienda può assumere mille volti, a seconda delle contingenze che il mercato impone. Del resto nessun argomento è più forte dei conti in uscita. Il punto però è che nei momenti più critici le aziende come la Fiat si giocano un bel pezzo del proprio nome, poiché l’imprenditoria è anche una forma di cultura la quale, una volta sradicata, non può essere certo restaurata con una campagna di marketing.
Per tanto permettete che un italiano si senta offeso nel vedere lo spot della Nuova Panda, intriso di sentimento nazionale e patriottismo, dopo che la Fiat ha maltrattato l’Italia in più modi? Permettete che sempre più italiani si sentano un po’ traditi?

La Fiat ha smesso di avere quel valore sociale e civile per cui andava menzionata come azienda nazionale. Non assume lavoratori e quelli che riesce a mantenere li sottopone a turni estenuanti. Chiude stabilimenti seguendo la scia di tante multinazionali che spostano la produzione in Paesi in via di sviluppo. Nulla da ridire, per carità, ma è anche vero che ogni scelta consiste in un guadagno e in una perdita: risparmierà sulla produzione ma con che faccia Marchionne può ritenere la sua un’azienda italiana? E ancora. La fusione con la Crysler tende a spostare il baricentro sempre più oltreoceano, trascinandosi così anche gli uffici di Torino. E alcune affermazioni non fanno altro che infangare i benefici che ha avuto dalla commistione con l’Italia.


La pubblicità della Nuova Panda tanto è bella, tanto è infondata. La verità è che la Fiat non può vantare quell’ulteriore motivo che ci indurrebbe ad acquistare Fiat. Non più almeno.  

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