Città invisibili e pianoforti


Cos’è una città.
Il luogo in cui si risiede? Il principale teatro quotidiano su cui si transita? Un posto in cui cercare opportunità? Le risposte possono essere innumerevoli poiché la città è come un libro: anche se è uno solo, acquisisce un volto nuovo ogni volta che viene letto. Ed è proprio così. Ognuno di noi si porta dentro una sua città invisibile, fatta di tutto quel magma interiore che riveste architettura e i paesaggi.
Fermiamoci un minuto e pensiamo a tutte quelle vite che ogni giorno ci passano accanto nella nostra totale indifferenza. Il punto è che ogni persona è un mondo fatto di storie, emozioni, sentimenti, percorsi, punti di vista e la città, qualsiasi essa sia, è una galassia fatta a sua volta di tutti questi mondi in continuo movimento. Persino in quelle giornate noiose in cui sembra che nulla accada, all’interno di ogni città le vite si connettono, si influenzano, si sfiorano. Compresa la nostra.
Fermiamoci un altro minuto e pensiamo agli stimoli, alle emozioni, alle opportunità, insomma alle città invisibili che potremmo conoscere se rinunciassimo per un momento alla diffidenza, alla timidezza, o a quelle culture del branco che spesso frenano le relazioni sociali.

Queste parole non vogliono rappresentare un elogio alla metropoli, bensì un invito ad abbattere quelle barriere che ci allontanano dagli altri. A volte ci facciamo influenzare dai pregiudizi elargiti generosamente dai teorici di piazza, o da un giornalismo provinciale che tende a fare dei casi estremi una norma, senza accorgerci che tutto questo ci fa male.
Alimentare la curiosità verso il mondo che ci circonda e manifestare il desiderio di conoscere gente è la migliore forma di resistenza che noi possiamo adottare contro i mali del periodo.
Una parola pronunciata è sempre meglio di un parola taciuta.
Una stretta di mano è sempre meglio di un gesto d’indifferenza.
Un sorriso è di gran lunga più intelligente di qualsiasi maschera.
In tutti noi c’è una propensione verso l’altro. Chi più, chi meno, ma c’è. Il punto è che ci facciamo del male ogni volta che vorremmo conoscere questa o quella persona senza però muovere un passo. Ci facciamo del male ogni volta che ci rifiutiamo di raggiungere un posto, o prendere parte ad un qualcosa, solo perché non conosciamo nessuno. In queste situazioni dovremmo essere contenti perché non abbiamo idea delle opportunità con cui potremmo avere a che fare. E ci facciamo del male quando ci abbandoniamo a mille pensieri sul conto di chi non conosciamo, quando invece tutti, infondo, siamo mossi dalle stesse paure e dalle stesse speranze.
In una città si è tanto diversi, è vero, ma anche tanto uguali.

Una città è come un pianoforte. Anche se lo strumento è uno solo, le melodie che si possono suonare sono infinte. Ognuno può suonarlo traendo emozioni per sé o per gli altri come ognuno può stare a sentire chi lo suona traendo emozioni per sé o per chi lo suona. Il problema però sorgerebbe se non avessimo più cura di quel pianoforte fino a vederlo disfarsi sotto i nostri occhi.
L’esempio non è casuale.
In questi giorni a Manhattan, una delle capitali delle sperimentazioni sociali, sono stati allestiti sessanta pianoforti. Sono affari vecchi, rimessi a nuovo, e posizionati su marciapiedi, strade e giardini a disposizione di chiunque. Sono colorati da artisti e alcuni pregano i passanti di suonarli con una scritta dipinta sul bordo: play me, i’m yours (Suonami, sono tuo). L’autore dell’installazione, l’artista britannico Luke Jerram, ha detto: “i pianoforti sono come tele bianche che stimolano la creatività individuale. Sarà interessante vedere che talenti esistono a New York”. Le città invisibili. Non suonare quei pianoforti, o non fermarci a sentire qualcuno che li suona, sarebbe davvero un peccato. O, un’opportunità persa per noi e per gli “altri”.

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