Sergente nella Neve: l'episodio del militare italiano che fu ospite dei soldati russi

Chi ha letto "Il Sergente nella Neve" di Mario Rigoni Stern, ha a mente l'episodio dell'incontro con i soldati russi. Narrato con un linguaggio spoglio ma diretto, capace di evocare in maniera nitida ogni immagine, suono e dettaglio, rappresenta un momento di grande poesia. E' una di quelle storie che raccontano di un'umanità latente nonostante la disumanizzazione che avvolge il mondo dei personaggi, un po' come una pianta che cresce facendosi spazio tra le fessure del cemento. O un fiore che spunta nella neve.
Ma Rigoni Stern non è solo un reduce che ha deciso di esorcizzare, con la penna, la sua devastante esperienza della campagna militare russa. Quando decide di scrivere è anche, forse senza che lo sapesse ancora, un grande pensatore, poeta, scrittore. La riflessione che deriva dal racconto di quell'episodio è altrettanto incantevole. 
In questo periodo di confini, di flussi migratori e timore di stranieri e diversi, mi piace condividere questo estratto. 
Di seguito troverete un video dove potrete ascoltarlo. 


"Corro e busso alla porta di un’isba. Entro. 
Vi sono dei soldati russi, là. Dei prigionieri? No. Sono armati. Con la stella rossa sul berretto! Io ho in mano il fucile. Li guardo impietrito. Essi stanno mangiando attorno alla tavola. Prendono il cibo con il cucchiaio di legno da una zuppiera comune. E mi guardano con i cucchiai sospesi a mezz’aria. – Mnié Hhocetsia ietstj, - dico. Vi sono anche delle donne. Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mo cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata. – Spaziba – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta, - mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si sono mossi. Nel vano dell’ingresso vi sono delle arnie. La donna che mi ha dato la minestra, è venuta con me per aprirmi la porta e io le chiedo a gesti di darmi un favo di miele per i miei compagni. La donna mi dà il favo e io esco. 
Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a persarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere."   


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