"Uomo nel buio"
Recensione scritta per il Laboratorio di Lettura Creativa su Lo Stradone.
Paul Auster appartiene a quella razza di scrittori che ama raccontare storie.
Libro consigliato a chi è piaciuto: “Opinioni di un clown” romanzo di Heinrich Boll, “La svastica sul sole” romanzo di Philip K. Dick, “La 25° ora” film di Spike Lee.
Pensando
al tema “L’io diviso: l’altra faccia
dello specchio” il primo titolo che mi è venuto in mente è “Uomo nel buio”
di Paul Auster (Einaudi 2010). Si tratta di un romanzo sull’America post Bush,
ovvero su quell’America che risvegliandosi da un lungo incubo si decide a
guardarsi allo specchio è capire cosa è diventata, nel bene e nel male.
Paul Auster appartiene a quella razza di scrittori che ama raccontare storie.
Il
loro stile non presenta un taglio netto, le loro trame non sono lineari e
quando scrivono sembrano dei piloti che dirottano il proprio aereo ad ogni
occasione. Usano sovrapporre mondi, e quindi storie, come a costruire un
intreccio labirintico che si scioglierà solo alla fine. Ecco, “Uomo nel buio” è
forse uno dei romanzi più rappresentativi di questa scuola.
L’epicentro
del romanzo è una casa, una grande casa. Uno dei suoi abitanti è August Brill,
anziano letterato che trascorre le sue giornate chiuso nella sua stanza, al
buio, a raccontarsi storie. Questa volta si inventa la vicenda di Brick, un
uomo che da un giorno all’altro si vede scaraventato in un universo parallelo,
in particolare in un’America sfociata nella guerra civile subito dopo le prime
elezioni di Bush. In questa America non esiste né Undici Settembre né ciò che
ne è derivato. “E World Trade Center? /
Le torri gemelle? Quei grattacieli alti di New York? / Esatto. / Embè? / Sono
ancora in piedi? / Certo. Cosa le prende?”. Esiste solo un Paese diviso e
in lotta. Brick capisce subito di trovarsi in una dimensione che non gli
appartiene e vuole tornare al suo vecchio mondo, in quello che lui considera
reale. Ma per farlo c’è un solo modo: uccidere l’autore.
Brick
è una delle tante fantasie con cui il vecchio Brill si mantiene lontano dalla
realtà: “Questo è il cuore di tutto, il
nucleo nero della notte, quattro ore buone ancora da bruciare, e ogni speranza
di sonno ridotta in frantumi. L’unica soluzione è lasciarmi alle spalle Brick
[…] e poi inventare un’altra storia”. E’ un esilio il suo che durerà fino a
quando l’altra inquilina della casa, la nipote Katya, penetrerà nella sua
stanza con il carico della sua storia, o meglio con quella del suo ragazzo
morto in Iraq. Solo allora Brill si ritroverà a tu per tu con la realtà e con un’America
persa in una tragedia di cui è vittima e carnefice allo stesso tempo.
“La sentenza fu eseguita come preannunciato,
settantadue ore esatte dopo che Titus era stato rapito dal camion e gettato in
quella stanza con le pareti in calcestruzzo. Non so ancora perché ci siamo
sentiti in obbligo di guardare il filmato – come se fosse un debito, un dovere
sacro. Lo sapevamo tutti che ci avrebbe ossessionato per il resto della vita”. Cos’è “Uomo nel buio”? Un tentativo di
raccontare il mondo attuale tramite gli incubi di chi lo vive? Una critica ad
un’America segregatasi nei propri confini e quindi incapace di una lucida osservazione?
O una riflessione su un Paese che, appena risvegliatosi dal sonno in cui era
piombato insieme alla propria coscienza, guarda in faccia se stesso. Il romanzo
di Paul Auster è un po’ tutto questo. Pubblicato infatti all’inizio del mandato
Obama è, insieme ai film Game Change e W, una delle prime grandi analisi della
disastrosa amministrazione Bush.
Libro consigliato a chi è piaciuto: “Opinioni di un clown” romanzo di Heinrich Boll, “La svastica sul sole” romanzo di Philip K. Dick, “La 25° ora” film di Spike Lee.
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