Qualche parola su "La Pelle" di Curzio Malaparte

“La Pelle” di Curzio Malaparte è uno dei romanzi più pieni, eleganti e pregni di umanità che abbia mai letto. E’ uno di quelli che ti entra nelle pelle, scusatemi il gioco di parole, ti incanta e in qualche modo ti plagia come le parole di un Tiresia moderno. Parlarne non è cosa facile come non è facile dire perché ti sia piaciuto così tanto: ogni capitolo, paragrafo e frase conserva un mondo, una storia, un punto di vista non solo sulla guerra, o su Napoli, bensì sull’intera umanità e sulla sua eroica tragicità.


“La Pelle” racconta di un “viaggio” nella Napoli, nel periodo compreso tra le Quattro Giornate e la battaglia a Monte Cassino, divenuta ormai un inferno di anime dannate in cui gloria e miseria, coraggio e pietà, vita e morte si incontrano e si fondono in ogni angolo. E’ un viaggio condotto dallo stesso autore, nonché protagonista, tramite una sublime prosa, potente ed evocatrice, capace rappresentare in un solo colpo le cose e la loro anima. La sua prosa è un prodigio ubiquo: le persone, i luoghi e le cose vengono svelate non solo nella loro forma e nelle loro espressioni, bensì anche nella loro natura più intima e profonda. La sua scrittura è una pennellata magica, una poesia che sa percorrere millenni, chilometri e altezze in poche e calibrate parole. 


A condurre questo viaggio, insieme all’autore, i suoi amici alleati, principalmente americani, senza dubbio onesti e armati di ottime intenzioni, ma tuttavia distanti dal mondo di Napoli più di quanto essi stessi possano credere. Sono collocati in una parte della storia che, al di là di ogni retorica, li vede come dei novelli normanni, saraceni, angioini, ovvero ennesimi invasori ignari del labirinto nel quale si stanno perdendo. C’è però un ulteriore elemento che li distacca: è quello di essere americani e quindi di provenire da un mondo nuovo ma allo stesso tempo semplice, in cui tutto pare perfettamente distinto con molta chiarezza, a partire dai concetti di bene e male, di vittima e carnefice, di vittoria e sconfitta. Malaparte conduce gli americani in una Napoli stratificata, dannata e inafferrabile, "una Pompei mai sepolta", che capitolo dopo capitolo si presenta sempre più come nucleo originario di un’Europa antica e pagana, dove ogni cosa, per quanto possa sembrare contraddittoria e bestiale, è indispensabile all’altra. Una grande madre che, seppur flagellata e distrutta, custodisce i segreti più reconditi e profondi dell’umanità e dei suoi moti, una dimensione originaria nella quale nessun confine può essere netto. Quello a cui gli americani assistono, quasi mai consapevolmente, è un continuo capovolgimento di prospettive in cui i vincitori diventano vittime, gli invasori schiavi, il bene male e viceversa, in una danza di eventi ed elementi che assume sempre più la forma di un nuovo sacrificio: si perché Napoli, sofferente e distrutta, non è solo la culla dell’Europa ma anche l’inestimabile tesoro che l’uomo sacrifica per la propria sopravvivenza e più precisamente per la fine del conflitto. Malaparte, come un moderno Virgilio, conduce i nuovi ingenui e tormentati Dante, gli americani, nei teatri di questo sacrificio, arrivando ai piedi di un’entità distruttiva e allo stesso momento paterna, il Vesuvio, che rappresenta a pieno la natura energica, contraddittoria e antica dei suoi figli. 
Forse sono tutte parole al vento: “La Pelle” è un romanzo che va vissuto a pieno paragrafo per paragrafo, in una esorbitante sequenza di immagini, dialoghi e riflessioni di sovrumana bellezza, un’esperienza letteraria divina, nel senso più classico del termine, e in quanto tale stregante.      

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