Roberto, un geco che suona il basso (I viaggi dell'androide Ulisse)


Data di approdo: 2 aprile 2011.
Siamo nella costellazione degli studenti fuorisede. Una frase che serpeggia lungo l’inconfondibile sagoma di Charlot, appiccicata sopra il letto, esprime l’equilibrio cosmico su cui si regge il mondo in cui ci troviamo: No money, no problem.
L’Androide Ulisse, nel suo lungo peregrinare per l’universo a caccia di mondi ed esperienze che lo aiutino a capire cosa voglia dire essere (un) umano, atterra nella stanza di Roberto.

Scienza, fantascienza e viaggi allucinanti.
La prima cosa che Roberto mostra di sé stesso è la sua ultima lettura. “La fisica dei supereroi” di J. Kakalios, un saggio che, come il mondo del nostro amico, oscilla tra scienza e fantascienza, tra ricerca e stilizzazione fumettistica. Superman, al tempo in cui rimbalzava tra un palazzo e l’altro, per compiere un salto di 200 metri in teoria avrebbe dovuto prendere una rincorsa di 260 km al secondo. Oppure, si otterrebbero delle ragnatele più resistenti di cavi d’acciaio se un ragno, o spiderman, producessero dei fili col diametro di un capello. In questo libro Kakalios porta alla luce le contraddizioni scientifiche dei supereroi o, se vogliamo, ponendosi a cavallo dell’utopia offre possibili spiegazioni ai superpoteri. 
La scienza e la fantascienza sono alla base del suo mondo e ritornano spesso nei discorsi. Cita Viaggio Allucinante di Asimov e una massima che vede la SCIENZA come risultato della formula FANTASCIENZA + TEMPO. Si, perché le cose che gli scrittori pensano e scrivono inevitabilmente si avverano. E’ solo una questione di tempo. E, Einstein, nella sua camera, rivolto verso l’entrata come a dare il benvenuto, sembra voler confermare.

La realtà dell’utopia.
Le osservazioni scientifiche sui supereroi, in Roberto, come in Kakalios, sono giochi che in realtà fanno parte di un’idea più ampia che campeggia proprio accanto al poster di Einstein: “La realtà dell’utopia”. E’ una scritta che scorre in un cartello rosso che Roberto dice di averla presa da qualche parte nel periodo del Servizio Civile all’Arci di Bari. Roberto fa parte di quelle generazioni che nell’obbligo della leva, optavano per il servizio civile e il ripudio delle armi. Quella frase gli ricorda le difficoltà incontrate durante l’organizzazione del Gay Pride in una città piena di stereotipi, o lo sportello del piano inferiore denominato “Non solo nero”, che offriva servizi e assistenza ai rifugiati. “L’utopia non è reato”, dice ad un tratto in uno stato tra sonno e veglia. Sono parole pronunciate alla maniera di una nota di basso presa nel momento in cui tutti gli altri strumenti tacciono.
Il supereroe forse è ciò che meglio rappresenta l’utopia. E l’utopia è ciò che infondo guida la ricerca scientifica. Forse. Si perché un buon ricercatore come l’androide Ulisse deve sempre usare il forse nella sua divagazioni.
In questo viaggio tra scienza, fantascienza e utopia ad un tratto Roberto tira fuori dalla libreria, seminascosta oltre un ammasso di roba, un libro raffigurato. E’ la raccolta dei disegni di Escher, il re dei paradossi. E un paradosso, lo sappiamo, è l’utopia per eccellenza. Chi non conosce Escher? O chi non ha mai visto qualcuna delle sue raffigurazioni in cui situazioni impossibili si visualizzano in un gioco di forme e di bianchi e neri. Sono tavole che osserviamo a lungo curiosi di capire come le varie forme si intersecano tra loro. Le tavole di Eschler, dice Roberto, sono paesaggi ripetuti attraverso un percorso evolutivo (“ripetere” è il termine che usa al posto di rappresentare, creare, inventare, eccetera; perché chi ricerca o crea non fa altro che ripetere la natura). Guardando verso Einstein afferma che tutto è relativo rispetto al punto di vista ma Escher compie un mezzo miracolo, cioè quello di unire prospettive completamente diverse in un risultato armonico.

Terremoti e vibrazioni.
Osservando la camera di Roberto possiamo trarre un’equazione. L’arte sta alla matematica come la matematica sta all’arte. Lo capiamo con Escher, lo capiamo con Kakalios e lo capiamo col basso poggiato per terra, in diagonale come a dividere il lato di Roberto da quello del coinquilino. Si, considerando lo spazio di Roberto, la sua camera inizia col basso e finisce su quella parete dove, con Einstein, scorrono fogli di quaderno coperti di appunti e formule. Sono tracce di esami sostenuti e che messi lì soddisfano anche un certo gusto estetico. Se ti sei scritto ‘ste cose, dice, non puoi togliere tutto d’avanti. Fisica terrestre, idrogeologia, mineralogia e via dicendo.
Roberto è un geologo sia negli studi che nella musica. Il basso è uno strumento che provoca minuscoli terremoti. Lo sentiamo sotto i piedi, nel corpo, nel cervello. Alla domanda su qual è stato il suo primo pezzo, risponde prontamente Money. Il suo è un Yamaha BB10005 dalla cassa di un bordò chiaro e lo suona da cinque anni. Suona cover di pezzi rock classici, Deep Purple e Acdc per intenderci, nella Rockstuff Band. Lo potrete vedere alla Taverna del Maltese, a Bari, il 22 aprile.

Il richiamo della natura.
Tra la pasta adesiva ancora attaccata al muro, importata dall’Inghilterra, tra pinocchi e automobiline in formato calamita, importate da Amsterdam, nella camera di Roberto spuntano qua e là dei gechi. Sul comodino accanto al letto ce n’è uno che si aggira tra il lume a forma di faro e le altre cianfrusaglie. Un altro è sulla parete, tra le varie calamite. Selma e Patty, i nomi di altri due gechi che si arrampicano su un’altra lampada. Sono animaletti di plastica, o ritagliati da qualche tessuto, che conferiscono alla camera un tono più naturalistico. Roberto prova ad offrire alcuni motivi che spieghino il suo debole per le frascitane (così si chiamano nel dialetto di Carovigno, suo paese natale). Innanzitutto mangiano le zanzare, dice. Cosa non da poco, soprattutto in estate. Il secondo motivo è che lottano contro la gravità, una caratteristica di certo affascinante. Ma una terza spiegazione possiamo scovarla nel suo passato. Sempre in quello stato tra sonno e veglia Roberto prende a parlare dell’infanzia, quando viveva in campagna e quando vedeva spuntare gechi in continuazione. Era un bell’effetto, dice, il verde del rettile sullo sfondo bianco della pietra di Ostuni.
Queste vibrazioni naturalistiche nella sua camera sono rinvigorite da altri richiami come il cartello di divieto di caccia, il lume composto da un bastone di legno curvo che si alza tra i due gechi, la cartollina di Vulcano.

Sotto il segno del geco.
Il geco di Roberto presenta una qualità particolare. Sa aspettare, dice. Chi in qualche modo ripete la natura e il mondo deve saper aspettare, aggiunge l’androide.
Ogni essere umano cerca, infondo a sé, un animale in cui identificarsi, come a rispettare quella voce primordiale che malgrado l’evoluzione e la “civilizzazione” persiste in loro. Secondo il National Galattic il geco è un animale che s’intrufola ovunque, sfruttando ogni pertugio e ogni superficie. Ha dunque una certa confidenza con gli spazi stretti e questo gli permette di esplorare un posto sin nei minimi particolari. Chissà se Roberto abbia mai pensato che ottimo geologo sarebbe se fosse un geco. Ad ogni modo Roberto e il geco hanno due cose in comune. La prima è il rapporto con la terra. L’uno studia geologia, l’altro è per sua natura un geofilo. Il secondo è il rapporto con la gravità. Entrambi lottano contro di essa e se l’uno la vince grazie a caratteristiche naturali l’altro, in quanto essere umano, la vince ripetendo il mondo con la fantascienza e la musica. Col basso in particolare, uno strumento che produce note che, come un geco, percorrono ogni superficie. Un po’ come alcuni supereroi, conclude l’androide.


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